C’è un aquinate che da circa mezzo secolo mette a disposizione il suo smisurato talento al servizio degli altri. Una missione che ha svolto sempre con onestà, ligio agli insegnamenti di papà Arturo e mamma Arturina. Costantino Iadecola, classe 1953 e ultimo di quattro figli, ne ha fatta di strada da quel 1981, anno in cui divenne ufficialmente neurologo dopo la laurea in Medicina conseguita alla Sapienza di Roma nel 1977. Un cammino sontuoso, il suo, scandito da tappe impervie che il dottore ha sempre superato con autorevolezza. L’amore per la scienza e la ricerca è stato più forte delle difficoltà. Costantino vanta un curriculum straordinario. Oggi è il direttore del Feil Family Brand and Mind Research Institute e professore ordinario di neurologia e neuroscienze presso la Weill Cornell Medicine di New York. Nella Grande Mela vive ormai da anni, ma spesso fa ritorno nella sua amata Aquino nella centralissima abitazione lasciatagli in eredità dai genitori. In questa chiacchierata lo scienziato di origini aquinati si racconta, ripercorrendo gli anni dell’infanzia fino ad arrivare ai giorni nostri.

Come nasce la passione per la medicina?

“Ho sempre avuto una grossa curiosità per tutto, mi è sempre piaciuto analizzare in profondità le cose. Una costante che mi ha accompagnato sin da bambino, da quando rompevo i primi giocattoli. Da qui nasce la passione per la medicina e la biologia, ho fatto studi classici, ma la letteratura mi interessava poco, le scoperte scientifiche erano, per me, più importanti di Dante. Da una certa età in poi mi sono messo al servizio degli altri, delle persone in difficoltà, dei malati, come faceva mio padre, dottore di stampo ottocentesco”.

A che punto è la ricerca scientifica per le malattie cerebrovascolari e i tumori?

“Indubbiamente, negli ultimi anni, sono stati fatti passi importanti. Le maggiori criticità riguardano i tumori cerebrali e polmonari, il progresso maggiore si è registrato nelle malattie cerebrovascolari come l’ictus, il cui tasso di mortalità, dagli anni Sessanta, si è ridotto del sessanta per cento, così come progressi significativi sono stati compiuti per le malattie cardiovascolari. Abbiamo finalmente capito l’importanza delle misure preventive, compreso i danni legati al fumo, l’importanza del controllo periodico della pressione arteriosa, dell’adozione di una dieta adeguata, del controllo del colesterolo e dei lipidi. Passi in avanti anche per l’Alzheimer, la malattia legata all’invecchiamento: sono stati recentemente introdotti trattamenti nuovi, ancora molto costosi, che hanno ridotto la malattia del venti per cento”.

Il momento di svolta della sua carriera?

“Quando ero a Roma, verso la fine degli anni Settanta, ho avuto il grande privilegio di lavorare con il famoso neurologo Cesare Fieschi. Dopo la laurea fu lui a mandarmi in America, a New York, a specializzarmi. Ero giovanissimo, non avevo ancora trent’anni, non mi sembrava vero: mi pagavano per fare quello che più mi piaceva. Poi l’incontro e la successiva collaborazione con il grande Donald Reis grazie al quale, nel 1990, mi sono specializzato in neurologia negli Stati Uniti. Sono stato fortunatissimo, lo ammetto, ho sempre lavorato con professori che volevano i miei interessi”.

Una sua istantanea sull’America? 

“New York, dove oggi vivo, è una città internazionale, molto simile a quelle italiane, basata sull’interazione personale. E’ un coacervo di razze e culture, io abito nel cuore della città, vicino a Central Park, ho vissuto anche nel Minnesota, uno Stato abitato da gente onesta dove la vita scorre più lentamente”.

Le sue maggiori soddisfazioni?

“Sono stato maestro di persone che poi sono diventate grandi nel mondo della scienza e della ricerca.  I numerosi premi di cui sono stato insignito durante la mia carriera accademica sono stati il frutto degli insegnamenti dei miei predecessori – che mi hanno indicato la strada giusta – e della bussola interiore dei miei genitori. Da questo punto di vista ho preso molto da mio padre, che esercitava la sua professione  con grande onestà e trasparenza, senza mai ricorrere alle scorciatoie”.

I consigli che si sente di dare a un neofita?

“Il mio lavoro non è per tutti, è una cosa che devi avere innata. Bisogna forgiarsi duramente, insistere con grande caparbietà, credere sempre nelle proprie potenzialità. Poi è importante il contesto, il lavoro di squadra: la biologia è team work, lavorare con gli altri con grande spirito di servizio, flessibilità e soprattutto onestà senza la quale la scienza è finita”.

Se non avesse fatto il ricercatore che strada avrebbe percorso?

“Probabilmente sarei diventato un musicista. Nei miei ritagli di tempo suono ancora il liuto, mi piace la musica rinascimentale. Anche la fisica non mi dispiaceva. Una passione che mio figlio Tom ha trasformato in professione. Da poco ha coronato il suo sogno: oggi lavora in una università della Pennsylvania come professore associato”.

E Aquino?

“La mia infanzia, il mio tutto. Sono rimasto profondamente legato al mio paese dove torno spesso. Ricordo bene gli anni dell’infanzia con i miei inseparabili amici Carmine Miele e Carlo Gatti, trascorrevo le giornate nella vicina officina di Pino Gatti. Mia zia Olga, sempre dolce e affettuosa con me, mi ha iniziato a essere curioso, mi comprava i giocattoli per farmeli rompere. Poi è venuta la musica con i Beatles…”

E il grande Gino De Cesare…

“Sì. Quanti ricordi con lui, Pietro Rogacien, Bruno Mastronicola, Donato Di Brango, Pasquale Perna, Fernando Curtarelli, Tonino Calcagni, Camillo Marino e Mario Mancini, primo chitarrista dei “Tomisti”. Erano gli anni del liceo classico a Cassino, si creò il mito della panchina, nei pressi del distributore di benzina di Gino De Cesare dove spesso ci radunavamo. Il nostro era un laboratorio di idee e sperimentazioni nuove, eravamo un manipolo di amici legati dalla stessa grande passione per la musica. Gino era un talento naturale, una persona onesta e generosa che capiva la musica come pochi. Era sempre prodigo di consigli, un uomo straordinario che purtroppo è uscito di scena troppo presto”.

Torniamo a parlare di lei: la sua giornata tipo?

“Mi sveglio molto presto, faccio degli esercizi musicali. Esco alle 8, raggiungo a piedi il mio posto di lavoro (circa 30 minuti da casa mia) poi rientro la sera in taxi, intorno alle 19, insieme a mia moglie, anche lei neurologa”.

I segreti per la sua invidiabile condizione fisica?

“Questione di genetica. Mangio poco. Colazione con cereali e frutta la mattina, pranzo con caffè americano e una frutta, la sera caprese, zucchine e melanzane. Pizza, pasta e carne una volta a settimana, venerdì sushi, e ogni tanto mi concedo qualche bicchiere di vino”.

Libero Marino