E’ un gigante. Ma qui la mole fisica non c’entra. Classe ’85, Tommaso Di Brango è un instancabile promotore di cultura e vanta numerose collaborazioni anche con riviste letterarie on line. Qualche anno fa ha coronato il suo sogno, quello di insegnare, di diffondere quella cultura che per lui è quasi una ragione di vita. Dal 2015 è docente di italiano e storia ma, non pago, attende l’abilitazione per la lingua latina. Questione di Dna, retaggio di papà Donato, che oltre alla passione per le materie umanistiche gli ha trasmesso tanto altro.

Un patrimonio di cui è estremamente orgoglioso. Tommaso (“nomen omen”, mi verrebbe da dire) non fa mistero dell’amore per la letteratura e per la sua Aquino. La sua vita si consuma tra Pontecorvo, dove è convolato a nozze con l’amata Raffaella, Aquino e Frosinone, dove da qualche anno lavora. Da Dante a San Tommaso passando per Hegel, il professore aquinate mi tiene incollato per una mezz’ora godibilissima davanti a un buon caffè. Ne scaturisce una bella chiacchierata dove Di Brango indugia sul passato per strizzare poi l’occhio a un futuro foriero di tante cose belle per lui. Del resto, chi ha seminato bene merita di raccogliere tante soddisfazioni.

Chi è Tommaso Di Brango?

“Una persona ormai di mezza età, legata alla sua terra, Aquino, con apertura su tutto il Lazio meridionale. Un docente che ama il suo lavoro e che ha deciso di dedicarsi allo studio della letteratura”.

Quando e come è divampata la passione per le materie umanistiche?

“Grazie al mio compianto papà Donato, che molti aquinati ricorderanno. Da questo punto di vista posso fornire delle indicazioni molto precise. Da bambino andavo spesso con lui a scuola a Frosinone, dove si svolgevano le frequenti riunioni pomeridiane di mia madre (che insegnava lì), e passavamo interi pomeriggi ad ascoltare musica, a parlare di letteratura, filosofia, politica e altro. Mio padre è stato anche un grande professore e, posso dire, il mio primo maestro. Lo sottoponevo continuamente a domande, gli chiedevo per esempio come facessero i cantautori e i poeti a scrivere parole così belle. La critica letteraria, secondo me, nasce proprio da questo: dal desiderio di capire da dove nasce quella bellezza lì”.

Il tuo autore preferito e perché…

“Senza dubbio Dante. Nel sommo poeta fiorentino troviamo espresse, con una forza poetica non rinvenibile in altri autori, temi decisivi per l’esperienza quotidiana di tutti. Le questioni che con più forza Dante ha espresso nella sua smisurata produzione sono, secondo me, due: la libertà e il destino. La prima non va confusa con l’arbitrio, ma va intesa come la capacità di fare un buon uso della vita che abbiamo, ovvero di scegliere tra una “diritta via” e una “selva oscura” che, anche senza rendercene conto, abbiamo di fronte tutti i giorni. Il destino, poi, è la necessità di fare i conti con ciò che nella nostra vita non possiamo cambiare, a partire dalla nostra identità profonda. Dante meglio di tutti ha toccato, a mio giudizio, questi due temi”.

C’è un’epoca in cui ti sarebbe piaciuto vivere?

“Forse l’Ottocento. Mi sembra un periodo storico più semplice, meno nevrotico rispetto ai giorni nostri, un’epoca fatta di grandi ideali”.

Un’istantanea sulla cultura attuale?

“Bisogna distinguere. Se parliamo della cultura “mainstream”, ovvero i vari Saviano, Ammaniti etc., ci riferiamo a un mondo che conosco poco. Non ho rapporti con la grande editoria, la quale, vista da fuori, mi sembra esprimere un mondo sempre più eterogeneo. Mi spiego meglio. Sono scrittori tuttofare, uomini di televisione, di cinema, di teatro etc. Penso, per esempio, a Baricco, diventato anche conduttore televisivo. Poi c’è la piccola editoria, dove i velleitari non sono pochi ma al cui interno si nascondono tante perle preziose e, a volte, preziosissime. Restando al nostro territorio, penso a Maria Benedetta Cerro, Sergio Sollima e Francesco De Napoli. Ci sarebbe, poi, molto da dire sulla “territorialità” di questi autori, specie all’indomani della Geografia e storia della letteratura italiana di Carlo Dionisotti. Sarebbe, però, un discorso lungo”.

Il tuo giudizio sulla scuola attuale?

“E’ molto cambiata e ancora sta cambiando. Siamo passati dalla scuola caserma alla scuola azienda. La scuola gentiliana vecchio stampo ha ceduto il posto alla scuola dell’inclusione, ed entrambe presentano delle criticità. La scuola gentiliana era selettiva al punto da essere classista, quella dell’inclusione a volte include anche chi fa di tutto per autoescludersi. Il PNNR, poi, ha ormai digitalizzato il mondo scolastico. Il futuro della scuola è legato alla digitalizzazione e non è, a mio giudizio, un bene”.

L’identikit del professore modello…

“Mi viene in mente Quintiliano: “Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur” (“La sua austerità non sia triste, la sua compagnia non sia sregolata, affinché non sorga di là odio, di qua disprezzo”). Quanto invece all’approccio con la materia, penso a Hegel che nei suoi corsi di filosofia all’università diceva ai suoi studenti: “Io sono la filosofia”. Può sembrare un’affermazione megalomane ma, secondo me, non lo è o, perlomeno, non lo è del tutto. A suo avviso, non era necessario portare l’opinione di uomini del passato, ma ciò che il confronto con quella tradizione aveva prodotto in lui, cioè la persona che era diventata grazie allo studio della filosofia. In sostanza, il professore deve incarnare la cultura, dandole un volto e un corpo, altrimenti è un ripetitore sostituibile da un computer”.

Qual è il tuo giudizio sulla politica di oggi?

“Da ragazzo sono stato vicino al Movimento no-global. Col tempo sono sceso a più miti consigli, mi sono avvicinato al PD pensando che ci volesse un po’ più di sobrio realismo, più moderazione, che la strada maestra non fosse la rivoluzione ma le riforme. Poi, quando ho visto che quelle riforme si chiamavano Fornero, che comportavano l’abolizione dell’articolo 18, il PNRR (che mi sembra tanto un cavallo di Troia), quando ho visto che il potere, che sia esso di destra o di sinistra, tendeva a imporsi in modo autoritario attraverso lockdown e vaccinazioni forzate (e si tenga presente che ho tre dosi di vaccino anti-Covid all’attivo, dunque sono tutto meno che un negazionista o un no-vax), quando ho visto tutto questo ho pensato che, forse, le istanze del Movimento no-global non erano da abbandonare. Oggi quel movimento è morto e sepolto: sarebbe bello se qualcuno riavviasse il suo discorso. Penso che la politica attuale stia sempre più rinunciando al suo vero ruolo, che è quello di rappresentare i cittadini, cedendo il posto alla tecnocrazia”.

Tuo padre, tra le tante cose, ti ha trasmesso anche l’amore per la Roma…

“Papà era un grande tifoso della squadra giallorossa, mi raccontava spesso delle gesta della Roma di Falcao. Io sono nato poco dopo. Insieme abbiamo vissuto lo scudetto del 2001, quello di Totti e Capello. Ma io resto legatissimo alla Roma romantica di Zeman, un allenatore che stimo da sempre, capace di dire sempre la verità pur consapevole dei rischi cui andava incontro”.

Un ricordo di tuo padre…

“Ci penso tutti i giorni. A volte mi fa rabbia il pensiero che non ci sia più, altre volte mi viene da ridere ripensando a certe sue uscite, all’ironia che pure, sempre, lo ha caratterizzato. Papà è ancora vivo in me, è una eredità vivente. L’elaborazione del lutto è avvenuta, lui non c’è più, me ne rendo perfettamente conto, ma il rapporto con lui è più vivo che mai. Papà è stato un grande appassionato di musica, amava Beethoven e quello musicale, tra i vari linguaggi artistici, è quello che mi piace di più, stimola sentimenti ed emozioni e coglie corde che nemmeno la letteratura è in grado di toccare. Io suono nel tempo libero la chitarra…”

Giovenale o San Tommaso?

“Sono entrambi affascinanti ed è difficile scegliere. Tra i due, però, preferisco San Tommaso per via del suo concetto di actus essendi (“atto di essere”), ovvero quello che lo distanzia più radicalmente da Aristotele. In concreto, è l’idea secondo cui esistere significa attuare le proprie potenzialità: far diventare reale ciò che, altrimenti, resterebbe solo potenziale, virtuale. Tu hai un’inclinazione? Devi tirarla fuori e lottare per farla valere, altrimenti ti condanni a una vita informe. Tante persone, oggi (ma forse anche ieri), vivono una vita solo potenziale, grigia, morta, e leggere Tommaso d’Aquino gli farebbe bene. Il pensiero di Tommaso, inoltre, è molto presente in Dante, che mostra quest’idea dell’actus essendi nel canto XI del Paradiso, dove l’Aquinate tesse l’elogio di Francesco D’Assisi illustrando, a mio parere, il principio tomista secondo cui “Gratia non tollit naturam sed perficit” (“La grazia non nega, ma perfeziona la natura”), concetto nobile e acutissimo”.

Se non avessi fatto il docente che cosa ti sarebbe piaciuto fare?

“Non lo so, forse il giornalista, qualche cosa dieci anni fa ho fatto da questo punto di vista cimentandomi anche con quotidiani locali. Fu una bella esperienza che, però, non mi consentiva di realizzarmi fino in fondo. Ho intrapreso il percorso scolastico, il che non significa che la scuola mi piaccia sempre. Ci sono momenti bui e difficili, ma credo che sia inevitabile che ogni grande passione passi anche attraverso di essi”.

I tuoi progetti futuri dopo il recente “Scritture dell’Incompiuto”?

“Nel cassetto ho due ipotesi. La prima è legata alla figura di Giuseppe Bonaviri, un gigante, grande scrittore siciliano vissuto e morto a Frosinone nel 2009 e candidato al Nobel, di cui il prossimo anno ricorrerà il centesimo anniversario della nascita. Faceva parte di quella generazione d’oro dei Pasolini e degli Sciascia. Poi vorrei lavorare sugli scrittori del nostro territorio come De Napoli, Cerro, Iannacone, Napolitano, Sollima, Vacana, Di Sora che hanno arricchito la generazione precedente alla nostra”.

Libero Marino